Nuove geografie del suono. Spazi e territori nell’epoca postdigitale (Meltemi, 2017): rassegna stampa

settembre 2018

Music Wall
ottobre 2020
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Come il suono valica il confine per riappropriarsi di luoghi e identità.
Un testo di Leandro Pisano che invita a “pensare sonicamente”, Nuove geografie del suono, edito da Meltemi Linee, è un percorso dai tratti filosofici che si avventura nel mondo del suono come strumento d’indagine di paradigmi politici, economici e culturali espressi dalle culture dominanti.
Il suono è quindi sound art, soundscape e radioart realizzata da una serie di artisti provenienti da diversi luoghi che si affacciano sul Mediterraneo, dall’India, dall’Africa e dall’America Latina per portare in evidenza narrazioni nascoste nelle pieghe dei racconti della modernità e per mettere in atto un processo di riappropriazione del paesaggio.
Il suono è la ricerca sul campo svolta dall’autore nel corso del percorso curatoriale del festival Interferenze, che ha portato alla luce aree rurali del meridione in rapporto alle arti multimediali contemporanee.
Il lavoro termina quindi riportando la dissertazione dottoriale svolta dall’autore presso l’Università degli Studi di Napoli “L’Orientale”: un percorso che si snoda tra filosofia, linguaggio, suono e luoghi abbandonati.
Un testo da scoprire cosa significhi “pensare sonicamente” e non semplicemente pensare “sul suono”.

(Claudia Ferretti)

Mangialibri
marzo 2018
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Non esiste un luogo in cui non si possa essere simultanei con l’udito. Il suono in sé è direzione in movimento, è zona di possibilità in movimento che si offrono all’ascoltatore immerso in un’azione di ascolto profonda, un tentativo di andare oltre le griglie del linguaggio, dei segni codificati, dei binari convenzionali. Disegnare soundscape, nuove cartografie del suono, è esplorare spazi inusitati, spesso ai margini, abbandonati, in cui vivono complessi livelli di interferenze, interscambi, pulsazioni sonore, rimandi, eco e relazioni. Aprire a questo ascolto significa scoprire – con rinnovato stupore – l’invisibile, l’imprevedibile, il non conosciuto, in un era, l’Antropocene, che è affetta, oltre che da antropocentrismo, da radicato oculocentrismo. Generare nuove possibilità di esperienza dello spazio e delle sue trasformazioni è ascoltare il complesso reticolo dei suoni che ci informa di interrelazioni umane e non umane da perlustrare in posizione in-stabile, mobile, interrogativa, fluida. “Un’immersività critica” della pluralità d’ascolto, capace di generare altre narrazioni in spazi “liberi da costrizioni geografiche e culturali”, da costrizioni archiviali. Lontano dal punto di vista indotto, veicolato dal controllo, dall’alto di mappe digitali dettagliate, la prospettiva “focaultianamente” si immette nel poroso, nello stratificato, nelle direzioni di movimento, i milieu suggeriti da Deleuze e Guattari. Potenza epistemologica del suono in ottica post-coloniale…

Il saggio di Leandro Pisano, frutto di uno studio dottorale di tre anni e di tanti altri di lavoro sul campo confluiti anche nel Festival Interferenze e nel progetto Liminaria, è di estremo interesse. Analizzando pratiche estetiche di lavoro sul campo, di esperienza dello spazio attraverso l’arte nel suono, con il suono, Pisano indica un prezioso cammino di ricerca sull’ascolto profondo, sul Terzo Paesaggio Sonoro, sull’adottare una prospettiva acustemologica facendo davvero emergere dalle sue righe il carattere “immersivo” del suono e l’importanza dell’esperienza con esso, fuor di dialettica e discrimine tra sound art e musica, a individuare i tratti fecondi di una filosofia del suono, e di un’estetica della relazione con i suoni. Gli inserti da Iain Chambers a suggerire una criticità ecologica dell’ascolto, i possibili mondi sonori nelle parole di Salomé Voegelin; i progetti di soundscape: Audiomapa.org di Fernando Godoy, i Sounds from Dangerous Places di Peter Cusack, El Tren Fantasma di Chris Watson, gli esperimenti di Enrico Coniglio: questi e tanti altri viaggi e riflessioni sonore – la scrittura del suono – si dipanano in tre densi capitoli a dilatare lo spazio da esplorare, “fino a diventare paesaggio interiore”. Anche al lettore poco addentro ai sound studies, forse distratto da un suono veicolato, controllato, corrotto dall’ipertrofia visiva della società odierna, la ricerca di Pisano apre più di una porta, ispirando come i buoni libri sanno fare. E questo lo è sicuramente.

(Luca Lampariello)

Studi culturali – Il Mulino
dicembre 2017
(pp. 512-514)

Già da alcuni anni il dibattito sul suono inteso come strumento di conoscenza sta coinvolgendo la comunità scientifica internazionale in maniera vivace e interdisciplinare. Attraverso il resoconto critico di una serie di artisti sonori provenienti da diverse parti del mondo, la recente pubblicazione di Leandro Pisano Nuove geografie del suono. Spazi e territori nell’epoca postdigitale raccoglie l’eco di tale dibattito e mostra come l’esplorazione sonora (soundscape, sound art, radio art) di spazi abbandonati e zone rurali favorisca l’emergere della realtà complessa e conflittuale dei luoghi. Nel primo capitolo la pratica dell’ascolto viene esaminata attraverso un’attenta discussione delle attuali teorie sul suono: dalla sonic philosophy di Christoph Cox al materialismo sonoro di Luc Döbereiner, dalla prospettiva contestuale e non cocleare dell’ascolto di Seth Kim-Cohen all’approccio (post-)fenomenologico dei sonic possible words di Salomé Voegelin, dal sonic nomad di Budhaditya Chattopadhyay all’acustemologica di Steven Feld riletta da Anja Kanngieser, tale dibattito permette di mettere in discussione l’interpretazione strettamente musicologica delle pratiche estetiche legate al suono producendo nuovi punti di vista o, meglio, di ascolto.

In gioco vi sono le possibilità e le modalità di definizione dell’odierna arte sonora, terza arte che, nata nell’interstizio tra musica e arte visiva, non è più né la prima né la seconda, ma un nuovo e specifico campo disciplinare le cui pratiche richiedono urgentemente nuove teorizzazioni. Nel secondo capitolo, l’analisi del rapporto tra paesaggio, suono e rovine ruota attorno alla definizione del concetto di Terzo Paesaggio Sonoro che, estendendo al campo del suono la dinamicità vegetale del Terzo Paesaggio di Gilles Clément, si configura come uno spazio critico per superare l’oggettività della contemplazione estetica e la reificazione del mondo operata, come ha messo in luce Iain Chambers, dal dispositivo dell’archivio. Principale modalità che permette tale resistenza estetica e culturale è l’uso consapevole della registrazione d’ambiente, o field recording: l’esplorazione fonografica di deserti, ferrovie in disuso, città fantasma, borghi abbandonati, ex zone industriali riporta infatti un potente senso della spazialità, del tempo e dell’atmosfera, trasformando lo spazio uditivo in ambiente di ascolto critico.

Attraverso l’esperienza di scoperta di un territorio considerato marginale, la fonografia si configura come atto politico che rende udibile ciò che è assente nella geografia ufficiale delle rovine, componendo una storia del paesaggio alternativa fatta di suoni, voci e silenzi che mettono in questione la narrativa dell’ideologia dominante rinegoziando significati e immaginando nuovi scenari. Nel terzo capitolo si discutono i concetti d’identità e comunità delle aeree rurali in relazione al suono. Se il pensiero dominante metropolitano intende l’identità rurale come monolitica, le pratiche sonore contemporanee testimoniano dell’identità dinamica delle zone rurali, in continua negoziazione in base agli incontri, ai mutamenti, alle ibridazioni.

Da mappa silenziosa, la ruralità diviene territorio in cui i suoni svelano campi di tensione e di conflitto tra soggetti con ideologie economiche ed ecologiche differenti, e il paesaggio diviene spazio attivo in cui agire, paesaggio mobile inteso come sovrapposizione di diversi paesaggi possibili (sonoro, visivo, corporeo, mediale). Come suggerisce Viviana Graviano, l’artista si fa ricercatore, cioè soggetto produttore di conoscenza, e problematizza la propria posizione di fronte a quella della comunità territoriale, segnando il passaggio da una pratica descrittiva a una concezione progettuale: non vi è più una comunità già data che bisogna descrivere, ma la comunità si manifesta solo al momento dell’incontro con l’artista e nella reciproca interazione in progetti comuni. Nei progetti sonori partecipativi e ibridi, che mescolano le nuove tecnologie sonore digitali (microfoni, sensori, pad, computer, Internet, ecc.) a oggetti tradizionali del contesto della comunità ospitante (strumenti musicali tradizionali, oggetti e luoghi del lavoro, bande del paese, campanili, ecc.), le pratiche estetiche del suono permettono di trasformare il territorio rurale da mero elemento geografico a medium con il quale comunicare e interpretare in maniera creativa la memoria del luogo.

A livello teorico, l’antagonista di Pisano è duplice: da una parte, la musicologia tradizionale che, concentrandosi principalmente sulla musica scritta, ha perso di vista la componente performativa, materica e tattile del suono; dall’altra, i testi fondatori dei sound studies che, a partire dai lavori di Murray Schafer sul «paesaggio sonoro», hanno concepito i suoni dell’ambiente in termini armonici e musicali.

La proposta dell’autore è invece quella di superare i riferimenti tradizionalmente definiti dall’ecologia acustica degli anni Settanta, ripartendo da una concezione dinamica, mobile e obliqua dell’ascolto e dei paesaggi sonori nell’epoca contemporanea. Sebbene la metafora musicale per concettualizzare i suoni dell’ambiente andrebbe presa più seriamente e il suo superamento o meno meriterebbe maggiore discussione – come ricorda il semiologo Paolo Fabbri ne L’efficacia semiotica. Risposte e repliche (Mimesis 2017) le metafore non sono mai vere o false, ma semmai giuste o sbagliate, cioè pertinenti o meno – il lavoro di Pisano rimane importante in quanto, trattando del suono in contesto rurale, si concentra su un ambito ancora poco approfondito. Infatti, se la bioacustica, con autori come Farina e Krause, ha mostrato il ruolo del suono in contesto naturale, le scienze umane si sono maggiormente interessate all’importanza del suono nella costruzione della realtà sociale e culturale in ambito urbano, come dimostrano i numerosi riferimenti presenti in Magaudda e Santoro 2013, nello speciale sui sound studies uscito su questa rivista, 10, 1, 2013. Con Pisano scopriamo il contesto rurale come terreno privilegiato di riflessioni sonore, luogo delle «nuove geografie del suono», da intendersi sia come mappatura delle teorie sonore attuali, sia come emersione dei nuovi aspetti dei territori rurali individuati e messi in luce proprio grazie all’azione delle pratiche sonore contemporanee.

(Emiliano Battistini)

NYR magazine
ottobre 2017
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Sulle possibili interazioni tra suono e paesaggio

La geografia dell’arte è ancora oggi caratterizzata da una struttura di analisi che segue una visione del mondo – e della cultura – profondamente definita dalle relazioni esistenti tra i pochissimi centri e l’estesa periferia, termine entro cui si raccoglie praticamente tutto ciò che è meno legato, se non estraneo, alle istituzioni e al mercato dell’arte di rilievo internazionale. Ritengo che il dare attenzione alle “marginalità” per portarle all’attenzione di un pubblico più ampio sia uno tra gli obiettivi più importanti che un ricercatore possa porsi oggi, e che questo sia distintivo della tua prassi di studioso e curatore interessato all’aspetto estetico del suono e delle nuove tecnologie.

- Nel tuo ultimo libro Nuove geografie del suono. Spazi e territori nell’epoca postdigitale (Meltemi editore, 2017) presenti una trattazione sul suono come mezzo critico in grado di fare emergere le dinamiche che caratterizzano il capitalismo globale: colonizzazione economica, politica e culturale, antropizzazione, soggettivizzazione delle risorse. Da cosa dipende la suddivisione del concetto di paesaggio nelle tipologie di ambiente sonoro, luogo abbandonato e spazio rurale?

Più che una suddivisione del concetto di paesaggio, mi piace pensare ad un ‘attraversamento’ sonoro declinato in geografie e territori ibridi che affiorano dal contesto post-globale. Aree rurali, luoghi abbandonati, zone ai margini si rivelano tramite modalità di ascolto e pratiche artistiche che le configurano come spazi “aumentati”, sia dal punto di vista sensoriale che delle risonanze del pensiero. In questa prospettiva, non più semplicemente linguaggio o strumento, il suono si palesa come metodo e dispositivo di indagine attraverso il quale riconsiderare l’esperienza e la conoscenza dei luoghi secondo modalità differenti rispetto a quelle mediate dalle categorie del pensiero della modernità. I luoghi abbandonati del suono e gli spazi sonori della ruralità sono a tutti gli effetti ambienti di conflittualità e problematicità riverberata sul territorio e nello spazio sociale. Le pratiche dell’ascolto, al loro interno, rendono percepibile ed udibile tutto ciò che è invisibile, assente, intangibile, residuale. L’attraversamento sonoro evidenzia, nel momento dell’incontro con il territorio, un’attenzione “ecologica” o “ecosofica” all’interno di questa geografia delle rovine.

- Benché la concezione comune identifichi la percezione sonora con l’immaterialità più assoluta, in termini concreti il suo impatto sul mondo e il nostro modo di abitarlo e percepirlo è considerevole. Ritieni che sia diffusa la consapevolezza della pervasività del suono nella società contemporanea?

Se è vero, come ha scritto David Toop, che Il suono è una presenza spettrale, un fantasma la cui collocazione nello spazio è ambigua e la cui esistenza nel tempo è transitoria, allo stesso tempo è innegabile che esso sia un vettore di materialità, nel momento in cui la sua ontologia lascia affiorare l’ideologia e la costruzione del sapere che lo definiscono come veicolo di conoscenza del mondo, come elemento che rivela le differenze di pensiero, economia, genere, identità. Il dibattito sul materialismo del suono in corso negli ultimi anni, approdato anche in certi casi all’attenzione di un pubblico allargato rispetto a quello dei puri specialisti, testimonia di un interesse in tal senso.

- Quest’anno assieme ad Antonio Arévalo hai curato la mostra Otros sonidos, otros paisajes che ha portato al MACRO di Roma opere di Fernando Godoy, Claudia González Godoy, Sebastian Jatz, Rainer Krause, Alejandra Perez Nuñez, cinque sound artist cileni. Come è nata l’idea di questa mostra?

Il progetto di una mostra di arte sonora cilena in Italia nasce da una serie di ricerche e contatti che ho cominciato a sviluppare qualche anno fa durante la mia ricerca di dottorato. L’interesse intorno alle pratiche ed alle riflessioni intorno al suono in area sudamericana e l’attenzione ad una ricerca “da Sud” in senso epistemologico, mi hanno orientato in un percorso di studio specifico che è approdato fino ad una serie di collaborazioni con il festival Tsonami di Valparaíso e con il suo direttore, Fernando Godoy, che ho invitato in Italia lo scorso anno per una residenza artistica nel corso di Liminaria, uno dei progetti che sto curando nell’area del Fortore beneventano, in Campania, che si occupa di suono, tecnoculture e territori rurali. In questo contesto di sinergie, è nata l’idea di lavorare ad una mostra che permettesse di costruire un contatto tra la sound art cilena ed il pubblico europeo. Otros sonidos, otros paisajes è il risultato di un’intuizione condivisa con Antonio Arévalo e con l’Ambasciata del Cile a Roma ed è stata la prima mostra in assoluto mai realizzata di arte sonora sudamericana in Europa.

- Mi incuriosisce molto il compito di un curatore di progetti espositivi incentrati sulla sonorità, mi riferisco nello specifico alla problematica di rendere fruibile l’opera al pubblico – generalmente più abituato ad un rapporto di natura visivo – ma anche alla scelta dello spazio: dalla questione dell’acustica a quella dell’interazione tra le opere. Come ti relazioni a queste problematiche?

È una questione con cui spesso ci si deve confrontare, soprattutto quando, come è capitato nel caso della mostra al MACRO, si è chiamati a curare progetti espositivi all’interno di spazi pensati e costruiti per ospitare opere di arte visuale. Una delle scelte possibili, come è capitato proprio a Roma, è quella di concentrarsi sulla tensione tra i livelli visivi ed acustici dei lavori. Praticamente tutte le opere, in quel caso specifico, sono state scelte per la loro consistenza scultorea e questo credo sia emerso come una delle caratteristiche salienti che tenevano insieme tutto il progetto, al di là del tema curatoriale specifico.

- Credi che la curatela dei progetti di sound art abbia peculiarità proprie?

È chiaro che le intersezioni tra suono, spazio, tempo, forma, movimento con cui ci si relaziona negli ambienti dell’arte sonora generano contesti complessi, nell’ambito dei quali chi cura progetti curatoriali è chiamato a confrontarsi con questioni che riguardano i legami percettivi tra visione ed ascolto, le articolazioni del silenzio e dello spazio, le caratteristiche scultoree del suono ed il displacement rispetto agli spazi tradizionali di fruizione concertistica, che vengono a dissolversi. In questo senso sì, credo che quando ci si accosta alla sound art emergano elementi specifici che mettono in questione metodi, linguaggi ed approcci codificati dai processi di curatela delle arti visuali.

Leandro Pisano, curatore, critico e ricercatore indipendente, si occupa delle intersezioni tra arte, suono e tecnoculture. L’area specifica di interesse della sua ricerca riguarda l’ecologia politica dei territori rurali, remoti e marginali. È direttore del festival di new arts Interferenze, fondato nel 2003 in Irpinia, e lavora a progetti che riguardano la sound art e le arti elettroniche, come Mediaterrae Vol.1 (2007), Barsento Mediascape (2013) e Liminaria (2014-18). Dottore di ricerca in studi culturali e postcoloniali del mondo anglofono presso l’Università “L’Orientale” di Napoli, ha pubblicato diversi saggi sulla sound art, l’ecologia e la politica del suono ed è autore del libro “Nuove geografie del suono. Spazi e territori nell’epoca postdigitale”, pubblicato da Meltemi (2017).

(Alessandra Franetovich)

Melascrivo
ottobre 2017
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Monti Dauni e Fortore sono due fratelli seduti di spalle. Hanno tante cose in comune, ma raramente si vedono in faccia e dialogano tra loro…

Colpa anche di chi ha (dis)orientato tutte le politiche di sviluppo verso la pianura o comunque le città capoluogo. Anche per questo ieri ho molto volentieri raggiunto l’altro lato del nostro Appennino per partecipare alla presentazione dell’ultimo libro del prof. Leandro Pisano, Nuove geografie del suono. Spazi e territori nell’epoca post-digitale (ed. Meltemi, pagg. 194, euro 18,00).

Nella splendida biblioteca di Colle Sannita (BN), innanzi ad un pubblico folto ed interessato, ho avuto la conferma della mia iniziale impressione: il lavoro di Leandro Pisano (e più in generale il suo progetto “Liminaria,” nato per creare reti sostenibili nell’area rurale del Fortore utilizzando la sound art) può rappresentare uno stimolo interessantissimo per chi ha a cuore le sorti delle Aree Interne, delle zone rurali e montane e dei piccoli comuni.

Indagare le aree rurali attraverso la pratica dell’ascolto è sorprendente, perché permette di far emergere una realtà tutt’altro che vuota, passiva ed imprigionata a visioni nostalgiche e passate. Aiuta a liberarsi da preconcetti e stereotipi e a conoscere il territorio (il Fortore, nel caso esaminato) in maniera critica ed approfondita.

Ma attenzione! Non è mera contemplazione. Quello proposto da Pisano è un vero e proprio “atto politico” per superare una ruralità considerata soltanto dal punto di vista geografico e comunque marginale, abbandonata e priva di futuro ed immaginare, invece, nuovi scenari ed un futuro possibile.

“Il territorio rurale – spiega l’Autore – rappresenta un vero e proprio laboratorio all’interno del quale è possibile sperimentare pratiche attraverso una ricombinazione di elementi, forze e pratiche già esistenti in esso (…). Ciò che innova non è quello che viene dall’esterno, ma è piuttosto la facoltà di riassemblare forze, agentività e risorse endogene del territorio, già in circolazione, secondo modalità che ci consentono di collocare la ruralità nel focus della cultura contemporanea, sottraendola ad ogni possibile autoreferenzialità ed inserendola a pieno titolo nelle dinamiche dei flussi planetari”.

Dunque, ascoltare il territorio significa conoscerlo meglio, comprenderne i mutamenti e le energie ed, infine, renderlo contemporaneo.

A pensarci bene, essere contemporanei è una strada obbligata per evolvere coerentemente dal passato che conosciamo ad un possibile futuro da costruire.

(Gianfilippo Mignogna)

Digicult
settembre 2017
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Uno dei punti di forza di “Nuove geografie del suono” (Meltemi, 2017) di Leandro Pisano consiste nell’attitudine a coltivare l’impianto teorico mantenendolo in costante dialogo con alcune delle pratiche della sound art contemporanea, grazie al background dell’autore.

Pisano infatti, dottore di ricerca in Studi culturali e postcoloniali presso l’Università “L’Orientale” di Napoli, è fondatore del festival internazionale di new arts Interferenze (attivo dal 2003) e del progetto Liminaria (dal 2014), incentrato su reti di suono, arti e tecnoculture nel Fortore beneventano.

La prima parte del volume è riservata alle teorie del suono contemporanee. Il fruttuoso metodo di ricerca di Pisano apre prospettive di ulteriori connessioni tra teorie e prassi. Il punto di partenza di questo lavoro è il passaggio dalla filosofia del suono alla sonic philosophy di Christoph Cox, che considera l’esperienza del suono come “flusso, evento ed effetto”, svelandone la natura materiale.

Per contrasto, Pisano rileva la limitatezza della teoria degli oggetti sonori di Pierre Schaeffer, cui mancherebbe la capacità di considerare appunto gli aspetti temporali del suono. Il nodo centrale delle teorie di Cox consente di differenziare musica e sound art: mentre la prima si sviluppa in base alla notazione, che interrompe la fluidità del suono, la seconda valorizza il flusso sonoro mettendo in questione l’antropocentrismo di tanta parte del pensiero contemporaneo sul suono.

Sulla scorta dell’ontologia del flusso di Gilles Deleuze, Pisano attribuisce a Cox la capacità di ripensare il suono in quanto “fluido materiale continuo ed eterogeneo che rende udibile l’immanenza dell’essere e del tempo”.

Ampio spazio è quindi dedicato alla teoria di Salomé Voegelin, che valorizza il ruolo dell’ascoltatore, considerato come produttore dell’oggetto/fenomeno tramite le modalità sensoriali coinvolte nella percezione. Si rivendica così la materialità della percezione sensoriale coinvolta nell’ascolto.

Nella concezione di Voegelin, la sound art differisce dalla musica principalmente per la modalità d’ascolto: se la seconda rinvia a schemi prevedibili e predeterminati, la sound art consente di aprirsi all’imprevedibilità del flusso sonoro. Il pensiero su una sound art così concepita invita ad una modalità di conoscenza prodotta dall’esperienza del suono come relazione temporale.

Pisano continua a lavorare sul percorso teorico della Voegelin sottolineando come la studiosa, nel successivo “Sonic Possible Worlds” (2014), inviti a superare la dicotomia tra musica e sound art, concependo lavori sonori e musicali come “sonic worlds” in reciproca connessione.

Il successivo approdo della ricerca sull’esperienza sonora contemporanea riguarda quella che Pisano, sulla scorta di Budhaditya Chattopadhyay, definisce la condizione nomadica post-digitale dell’ascolto. A Pisano, che si richiama ai lavori di Kim Cascone e Ian Andrews, interessa approfondire le capacità della critica postdigitale di decostruire “la visione tecno-hegeliana o modernista della storia del digitale”.

In questa prospettiva, che radicalizza l’opposizione a una teleologia del progresso associata al digitale, l’ascolto si configura come una dimensione mobile e fluida. Nell’elaborazione “acustemologica” di Anja Kanngesier inoltre, il suono diventa dispositivo di conoscenza e critica geopolitica, in grado di restituire la complessità dei livelli materiali, economici e politici.

Pisano sottolinea soprattutto la dimensione affettiva del suono, in grado di diffondersi grazie alle sue qualità vibrazionali attraverso superfici, spazi e territori, diventando così strumento di condivisione e interazione sociale, spesso in aperta opposizione alle logiche dello sfruttamento del lavoro imperanti nel capitalismo contemporaneo.

Nelle successive due sezioni del gruppo, Pisano studia alcune operazioni di sound art, indagate secondo un approccio acustemologico, rispettivamente legate a spazi abbandonati e in rovina e a territori rurali. Per quanto riguarda “i luoghi abbandonati del suono”, il ricercatore comincia da una ricognizione critica del concetto di mappa quale prodotto di processi politici e culturali che si traducono nella verticalità delle cartografie tradizionali, che ignora una serie di livelli complessi che si agitano sotto la superficie della dimensione visuale.

Le mappe sonore, invece, hanno il potere di innescare dinamiche di embodiment, grazie alla densità dello spazio acustico. La mappa sonora in forma di installazione Atacama di Fernando Godoy ne è un esempio, poiché raccoglie tramite un sistema di registrazione multicanale i diversi livelli dell’esperienza acustica sperimentabile in luoghi abbandonati come cave in disuso, miniere chiuse, campi incolti.

Una mappa sonora così concepita, in stretta connessione con sensazioni di evocazione, assenza, distanza ed espansione temporale, è in grado di emanciparsi dal primato dello sguardo umano e indagare attraverso il suono processi complessi di natura politica, economica, sociale.

La dimensione collaborativa delle mappe sonore emerge con distinzione in un altro progetto di Godoy, AudioMapa.org, in cui la partecipazione di venti artisti all’elaborazione di una cartografia del Sud America elude ogni rischio di ricezione passiva e coinvolge, in un intenso processo collettivo, diverse soggettività nell’esplorazione di luoghi e territori rivelandone traiettorie inedite, in opposizione a schemi e categorizzazioni precostituite.

Pisano introduce una concezione postumanistica dell’esperienza sonora, intesa come “meccanismo di incontro in cui il nesso eccede la distinzione tra soggetto e oggetto, creando un ambiente relazionale nel quale entità discrete si impadroniscono delle vibrazioni l’una delle altre”. Queste architetture vibrazionali eccedono le categorizzazioni costituite e aprono il paesaggio, scoperchiandone i tesori sonori, tra memorie, racconti, voci ed echi.

In questa prospettiva, Pisano legge Sound from Dangerous Places di Peter Cusack, incentrata su pratiche di field recording nei luoghi circostanti la centrale nucleare di Chernobyl, l’installazione Tellus Totem di Enrico Ascoli, articolata su una sorta di sinfonia degli oggetti perduti e dimenticati dopo il sisma in Irpinia del 1980, e il progetto Vacuamoenia di Fabio R. Lattuca e Pietro Bonanno, dedicato ai villaggi rurali costruiti dal regime fascista in alcune aree interne della Sicilia.

Lo studioso campano sviluppa qui il concetto di Terzo Paesaggio Sonoro “per superare l’oggettività della contemplazione estetica ed intellettuale appartenente all’epoca contemporanea, affermando invece un approccio de-coloniale e post-coloniale verso la storia del potere e la museificazione, attraverso la decentralizzazione del pensiero e dei luoghi in cui l’arte ‘performa’”.

L’esplorazione sonora dei luoghi abbandonati produce effetti particolari quando si serve di un mezzo di comunicazione molto particolare come il treno: è il caso di El Tren Fantasma di Chris Watson e Past Track di Signe Lidén, in cui i sound artist lavorano sulla dimensione acustica esperibile viaggiando su linee ferroviarie prossime alla chiusura. Sulla scorta delle riflessioni di Brandon LaBelle e George Revill, Pisano attribuisce al suono e al paesaggio proprietà mediologiche, fondate sulla capacità di generare nodi comunicazionali tra pratiche, artefatti e soggetti.

Per Revill, il suono, in quanto evento spazio-temporale, può connettere e disconnettere, propagandosi sotto forma di arcs of sound, archi di movimenti ritmici che producono un’esperienza complessa del paesaggio, insieme reale e immaginaria. Il focus della questione è l’approccio con i territori. Si tratta di pratiche di deep listening, in cui l’ascolto si trasforma in una profonda immersione nei luoghi e nelle storie.

Nel terzo capitolo al centro dell’analisi è il concetto di ruralità, che Pisano, sulla scia di Iain Chambers, legge in chiave critica. Attraverso l’arte e il suono in dettaglio, la ruralità riscopre una posizione centrale nell’immaginario contemporaneo. Affrancandosi da visioni passatiste, che relegavano le aree rurali alle dimensioni museali e folkloristiche, e rovesciando le discriminazione di una visione metropolicentrica delle culture mediali del XXI secolo, l’autore rivendica l’elemento imprescindibile per il recupero della centralità socioculturale della ruralità nel dibattito coevo: l’autoconsapevolezza critica dei territori.

Il suono, attraverso il field recording, stimola l’esplorazione di livelli inconsueti di significato. L’autore rinviene esempi di questo tipo nell’opera sonora Sounding Out the Watershed di Enrico Coniglio e nel film-installazione Night Time di Angus Carlyle e Chiara Caterina, entrambe centrate su esplorazioni sonore del Fortore beneventano, nell’ambito di Liminaria. Facendo tesoro delle avvertenze dei performer Luis e Rui Costa sulla necessità di marcare l’elemento soggettivo per neutralizzare l’opacità del documentarismo, Carlyle e Caterina trasformano l’esplorazione sonora in un’azione performativa, che include anche le fasi preparatorie, gli errori, le interferenze.

Pisano affronta quindi la questione fondamentale della presunta oggettività del materiale sonoro registrato, di cui invece operazioni come questa disvelano la natura totalmente contingente e soggettiva. In linea con gli orientamenti di Salomé Voegelin. Il pregio maggiore della ricerca condotta da Pisano in questa sezione riguarda l’accento posto sulla nozione di paesaggio.

Tra i vari contributi risaltano le posizioni di Akram Zaatari, per il quale il paesaggio rappresenta l’ultimo archivio, e soprattutto di Viviana Graviano, che invita a pensare al paesaggio come morphing landscape, paesaggio attivo contro ogni visione romantico-contemplativa. In questa luce, per Pisano, muta la natura del lavoro del ricercatore, a cui è richiesto di bypassare gli angusti confini disciplinari nello slancio verso la sperimentazione di pratiche di esplorazione dei territori.

Tale orizzonte teorico si completa con i concetti di critical listening, con cui Voegelin inquadra la pratica generativa e immaginativa tramite la quale il fruitore di un’opera di sound art amplia l’esperienza sonora, a partire da una rete soggettiva di echi di ascolti, memorie, dinamiche socio-culturali, e di posizionamento poetico/politico del sound artist.

All’artista viene richiesto di riconsiderare in chiave ecosistemica la relazione sia con i luoghi sia con le comunità dentro i cui confini ha origine l’esperienza creativa. Questo processo conduce ad esiti rilevanti anche in chiave sociologica, poiché porta direttamente ad una critica dei concetti di comunità e identità.

Sulla scorta delle filosofie della comunità proposte da Jean-Luc Nancy e Roberto Esposito, Pisano propugna una visione delle comunità in chiave evenemenziale e performativa, al di fuori di qualsiasi fondazione costitutiva e identitaria: la comunità diventa così una struttura transeunte, incoerente e disomogenea, che si costituisce solo attraverso l’autoconsapevolezza di prendere parte a progetti comuni.

In questa chiave, Pisano sposa la proposta di Luis e Rui Costa di adozione della definizione di “context-specific art”, in luogo di “site-specific art” o “community-specific art”. Tale revisione del concetto di comunità si rispecchia in pratiche artistiche, in cui il sound artist interagisce con le comunità al fine di esplorare di mondi sonori aumentati.

È quanto avviene in Calitri Temporary Orchestra, in cui l’artista giapponese Yasuhiro Morinaga collabora con giovani musicisti della banda del borgo irpino, recuperando Antiche canzoni del patrimonio folk mixate con tecniche di elaborazione digitale. Analogamente, la performance Passaggi di tempo, progettata da Fernando Godoy, Miguel Isaza e David Velez nella cittadina di Montefalcone di Valfortore per Liminaria 2016, coinvolge l’anziano campanaro e l’intera comunità in una processione sonora per campanacci.

Il suono del campanaccio, non più mero simbolo di identificazione delle popolazioni rurali, consente alla comunità fortorina di riappropriarsi del paesaggio tramite un’esperienza sonora fondata sull’ibridazione di “elementi antropici e non umani, risonanze architettoniche e vibrazionali”, “con una forza che mette in discussione e frantuma la presunta ‘unità’ del presente, sfidando il paradigma modernista del territorio rurale percepito come simulacro del passato”.

Alla luce di un simile insieme di spunti di riflessione, appare riduttivo concentrare in poche battute il valore di un saggio che stimola a ripensare le possibilità di conoscenza schiuse da una concezione liberatoria della sound art, come dispositivo di radicale riconfigurazione di saperi, tecniche e poteri gerarchici nell’ottica di rigenerare i tessuti connettivi di territori e soggettività mortificate dall’agenda comunicativa e politica del tecnocapitalismo contemporaneo.

(Mario Tirino)

Doppiozero
agosto 2017
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Salutiamo con entusiasmo la recente pubblicazione del libro Nuove geografie del suono. Spazi e territori nell’epoca post-digitale, edito da Meltemi, del ricercatore e curatore indipendente Leandro Pisano: tale pubblicazione porta finalmente in Italia il dibattito sul suono inteso come strumento di conoscenza, che sta avvenendo già da alcuni anni a livello internazionale. Attraverso il resoconto critico di una serie di artisti sonori riconosciuti, il lavoro di Pisano ci parla della possibilità di indagare gli spazi abbandonati e le zone rurali attraverso la pratica dell’ascolto.

A diverse latitudini e con approcci estetici differenti, Ximena Alarcón, Enrico Ascoli, Fari Bradley e Chris Weaver, Angus Carlyle e Chiara Caterina, Budhaditya Chattopadhyay, Enrico Coniglio, Peter Cusack, Matthew Fluharty e Richard Saxton, Fabio R. Lattuca e Pietro Bonanno, Fernando Godoy, Miguel Isaza, Signe Lidén, Yasuhiro Morinaga, Anna Raimondo e Younes Baba-Ali, David Velez, Chris Watson fanno esperienza di pratiche in cui il suono favorisce l’emergere della realtà complessa e conflittuale dei luoghi, riportando all’ascolto una serie di narrazioni in essi nascoste e mettendo in atto una riappropriazione a più livelli del paesaggio, al di là del sistema bidimensionale della mappa.

Nato dalla ricerca svolta durante il percorso dottorale in Studi culturali e post coloniali del mondo anglofono presso l’università di Napoli, il testo di Pisano si radica sull’esperienza decennale dell’autore come critico e curatore indipendente di festival e residenze di arte sonora (Interferenze, Liminaria, ecc.). Ponendosi sul confine tra ambiti disciplinari differenti ma di volta in volta contigui come i new media studies, gli studi post-digitali, i sound studies, la politica del linguaggio, la filosofia e la riflessione geografica, l’autore presenta la propria riflessione in tre capitoli in maniera equilibrata e asciutta, sviluppando la propria trattazione sulle nuove geografie del suono, da intendersi sia come mappatura delle teorie e delle pratiche sonore attuali, sia come emersione di nuovi aspetti dei territori rurali individuati e messi in luce proprio grazie all’azione delle pratiche sonore.

Nel primo capitolo la pratica dell’ascolto viene esaminata attraverso una attenta discussione delle attuali teorie sul suono: dalla sonic philosophy di Christoph Cox al materialismo sonoro di Luc Döbereiner, dalla prospettiva contestuale e non cocleare dell’ascolto di Seth Kim-Cohen all’approccio (post-)fenomenologico dei Sonic Possible Words di Salomé Voegelin, dal sonic nomad di Budhaditya Chattopadhyay all’acustemologica di Steven Feld riletta da Anja Kanngieser, tale dibattito permette di mettere in discussione l’interpretazione strettamente musicologica delle pratiche estetiche legate al suono producendo nuovi punti di vista/ascolto. In gioco vi sono le possibilità e le modalità di definizione dell’odierna arte sonora, terza arte che, nata nell’interstizio tra musica e arte visiva, non è più né la prima né la seconda, ma un nuovo e specifico campo disciplinare le cui pratiche richiedono urgentemente nuove teorizzazioni.

Nel secondo capitolo, l’analisi del rapporto tra paesaggio, suono e rovine ruota attorno alla definizione del concetto di Terzo Paesaggio Sonoro che, estendendo al campo del suono la dinamicità vegetale del Terzo Paesaggio (Gilles Clément), si configura come uno spazio critico per superare l’oggettività della contemplazione estetica, della museificazione e della reificazione del mondo operata dal dispositivo dell’archivio (Iain Chambers). Principale modalità che permette tale resistenza estetica e culturale è l’uso consapevole della registrazione d’ambiente o field recording.

L’esplorazione fonografica di deserti, ferrovie in disuso, città fantasma, borghi abbandonati, ex zone industriali, riporta un potente senso della spazialità, del tempo e dell’atmosfera, trasformando lo spazio uditivo in ambiente di ascolto critico. Attraverso l’esperienza di scoperta di un territorio considerato marginale, la fonografia si configura come atto politico che rende udibile ciò che è assente nella geografia ufficiale delle rovine, componendo una storia del paesaggio alternativa fatta di suoni, voci e silenzi, e mettendo in questione la narrativa dell’ideologia dominante rinegoziando significati e immaginando nuovi scenari. Processi collettivi di contro mappatura, le mappe sonore rendono udibile ciò che è complicato inquadrare nel dominio del visibile, donando nuova profondità alla dimensione verticale delle comuni carte geografiche, inserendovi le dimensioni occultate delle differenze socio-culturali, delle relazioni economiche-politiche, dei cambiamenti climatici e degli squilibri ecologici (un esempio su tutti: l’audiomapa.org dell’America Latina).

Il terzo capitolo discute i concetti di identità e comunità delle aeree rurali in relazione al suono. Se il pensiero dominante metropolitano intende l’identità rurale come monolitica, le pratiche sonore contemporanee testimoniano dell’identità dinamica delle zone rurali, in continua negoziazione in base agli incontri, ai mutamenti, alle ibridazioni. Da mappa silenziosa, la ruralità diviene territorio in cui i suoni svelano campi di tensione e di conflitto tra soggetti con ideologie economiche ed ecologiche differenti, e il paesaggio diviene spazio attivo in cui agire, paesaggio mobile inteso come sovrapposizione di diversi paesaggi possibili (sonoro, visivo, corporeo, mediale). L’artista si fa ricercatore (Viviana Gravano), cioè soggetto produttore di conoscenza e questiona la propria posizione di fronte a quella della comunità territoriale, segnando il passaggio da una pratica descrittiva a una concezione progettuale: non vi è più una comunità già data che bisogna descrivere, ma la comunità si manifesta solo al momento dell’incontro con l’artista e nella reciproca interazione in progetti comuni.

Nei progetti sonori partecipativi e ibridi, che mescolano le nuove tecnologie digitali sonore (microfoni, sensori, pad, computer, Internet, ecc.) a oggetti tradizionali del contesto della comunità ospitante (strumenti musicali tradizionali, oggetti e luoghi del lavoro, bande del paese, campanili, ecc.), le pratiche estetiche del suono permettono di richiamare e ripensare il passato e trasformare il territorio rurale da mero elemento geografico a medium con il quale comunicare e interpretare in maniera creativa la memoria del luogo.

Il lavoro di Pisano ci propone così di rivedere le nostre coordinate geografiche mettendo al centro le aree rurali e abbandonate e dando infine un nuovo senso al sud, inteso non più come coordinata geografica ma come modalità epistemologica (Bonaventura de Sousa Santos), che apre alla conoscenza dei luoghi attraverso l’esperienza dell’ascolto di essi.

Un consiglio prezioso, da mettere in pratica anche direttamente in queste nostre vacanze estive, per chi si trova nelle campagne o sulle spiagge del sud o anche per chi resta nella calma estiva della città. Provare ad ascoltare l’interstizio incolto, gli angoli abbandonati o le vastità rurali che ci circondano. Anche senza microfoni e registratore, bastano le orecchie: è l’occasione di lasciarsi stupire dai suoni e dalle voci del paesaggio, invisibili sulle comuni mappe digitali dei nostri smartphone.

(Emiliano Battistini)

Blow-Up
maggio 2017
(p. 124)

Chi già da tempo legge Blow Up sa di cosa si interessa Leandro Pisano e può immaginare dove vanno a parare le sue ricerche e i suoi ascolti. Frutto di questo e di una lunga esperienza sul campo è “Nuove geografie del suono” che è anche un dottorato di ricerca all’Orientale di Napoli. Il lavoro si articola in 3 capitoli. Il primo (“Tra sound art e ambient d’ascolto: teorie contemporanee del suono”), come si evince dal titolo, è fondamentalmente teorico; chi non ha predisposizione per la teoresi o non ama avventurarsi in discussioni astratte raffinatissime può tranquillamente saltarlo.

Da parte sua il buon Leandro fa di tutto per andare incontro al lettore con la sua chiarezza didattica. Il secondo e il terzo capitolo partono, invece, dalla “pratica” e da esperienze concrete, passando dal deserto di Atacama a Karachi, da Chernobyl a Beirut, dai villaggi rurali abbandonati in Sicilia alle foreste dell’Avellinese. Il secondo capitolo (“The Third Soundscape: i luoghi abbandonati del suono”) si occupa di mappe sonore e di suoni delle/dalle/nelle rovine mentre il terzo tratta de “Gli spazi sonori della ruralità”. Si potrà concordare o discutere a proposito delle premesse filosofiche (fenomenologia e decostruttivismo vanno di pari passo), ma va riconosciuta a Pisano una correttezza che è epistemologica oltre che morale nel parlare di e con i vari studiosi (filosofi, sociologi, massmediologi, musicologi…).

Ma la vera forza della sua scrittura e del suo approccio è la capacità di accogliere da tutti i punti di vista qualcosa che possa essere utile per capire le nuove geografie del suono. In tal senso il meglio di sé lo dà quando si fa più narrativo, quando racconta le esperienze o gli ascolti in atto. È parlando di luoghi, di persone, di progetti concreti che il suo discorso si fa veramente interessante, con i piedi ben per terra. Così, strada facendo, educa all’ascolto e alla comprensione stratificata e pluridimensionale della musica e degli spazi/territori in cui si colloca.

Nonostante l’assidua frequentazione di situazioni di crisi e tensione, forse l’atteggiamento di fondo è fin troppo ottimistico, una idealità che proprio la materia trattata fa di tutto per mostrarne la rovinosa consistenza, soprattutto in una prospettiva che parte dal “Sud” e dalla marginalità. In conclusione, nonostante qualche tecnicismo del resto necessario, un ottim libro, documentato e ben scritto. Da far invidia a quelli di The Wire, se solo sapessero l’italiano.

(Girolamo Dal Maso)

Rockerilla
maggio 2017
(p. 42)

Analizzo quale rumore predomina nel vagone del treno sul quale viaggio, memorizzo quanto ascolto e giro lo sguardo oltre il finestrino dentro una varietà costante di paesaggio, dal metropolitano al rurale, dall’industriale al periferico. Esiste un filo conduttore che lega quanto mi circonda, quell’indefinito rumore che domina lo spazio interno ed esterno: è il suono. Il suono come continua presenza che definisce qualsiasi cosa attorno a noi. Il suono che può aiutarci a meglio comprendere come si vive e come si possa intervenire per meglio vivere.

Questo, descritto in modo assai basico, il punto di partenza dal quale si dipana la colta e curata disamina contenuta nel prezioso volume di Pisano, da molti conosciuto come fondatore e direttore artistidco del Festival Interferenze ma soprattutto studioso ad alto lviello, impegnato da tempo nella trattazione delle dinamiche sonore in relazione all’ambiente nelle quali si sviluppano. Un volume indispensabile.

(Mirco Salvadori)

Artribune
aprile 2017
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Presentato in anteprima al PAN di Napoli, è da poco in libreria l’interessante saggio Nuove geografie del suono. Spazi e territori nell’epoca postdigitale di Leandro Pisano. Curatore, studioso di arti sonore e ruralità, ha definito e declinato un’approfondita ricerca attorno al suono come pratica artistica inclusiva capace di proporsi quale agente di trasformazione e produzione di immaginario. Si tratta di un manuale denso e documentato che, attraverso tre capitoli, restituisce un paesaggio di sguardi sulle pratiche dell’ascolto intese come dispositivo di relazione ambientale e territoriale. Decolonizzare l’immaginario legato al suono è l’obiettivo dichiarato dall’autore sin dalle prime pagine.

Per raggiungere questo ambizioso risultato Pisano mette in campo una strategia lucida e onesta, basata sulla premessa che quest’operazione di scavo nell’ontologia del suono ha un senso solo se è capace di ridisegnare i propri confini, accogliendo anche sfide provenienti da istanze che possono apparire marginali come quelle poste dal fenomeno dell’abbandono delle aree rurali e interne del sud Italia.

DINAMISMO E PARTECIPAZIONE ll primo capitolo definisce un punto di vista più teorico proponendo il suono come funzionale alla modificazione dell’esistente all’interno di sistemi segnati dal claim thatcheriano “there is no alternative”. Nella loro capacità deterritorializzante, le pratiche sonore non possono mai permettersi di rimanere legate a identità statiche e istituzionalizzate, perché questo legame rischia di uccidere il senso stesso della loro azione trasformativa. E a tal proposito è interessante notare come l’autore ponga al centro una visione geografica del suono, ovvero la capacità di quest’ultimo’ di segnare e disegnare mappe di senso che ricordano il luogo o i margini o la ruralità non come un campo bucolico armonico ma come epicentro di un campo di battaglia dove più forti sono le pressioni del capitale e della passività sistemica dilagante. Ogni pagina del libro ci ricorda che il suono è occasione di una riflessione intransigente sul mondo e sui suoi assetti attuali; una riflessione che è anche una forma di attivismo critico. Le produzioni sonore ospitate e curate dall’autore in vari territori della regione Campania sono tutte incentrate su un linguaggio documentario che successivamente viene smontato in maniera analitica e radicale per aprirsi all’altro e alla produzione di nuovi immaginari dei margini. Sono le componenti principali del mondo attuale a essere travolte da questa rilettura partecipativa. Per Pisano ogni storia, ogni luogo, per quanto specifico esso sia, vanno inseriti in un contesto più ampio. Vicende singolari e paradigmatiche si intersecano dunque con fenomeni globali, e situazioni marginali si intrecciano con considerazioni di ordine politico e filosofico.

MAPPE, TERRITORI E ARTI VISIVE Così, con lucidità critica e con lo sguardo sempre rivolto alla mappa e ai territori, Pisano gioca sulla dialettica tra visibile e invisibile, tra l’evidente e il rimosso, tra violenza estetica e violenza capitalista; e, facendolo, smaschera le contraddizioni del mondo globalizzato e i suoi occulti meccanismi. Senza dimenticare l’universo delle arti visive contemporanee, anch’esso connesso alle tematiche socio-politiche e compromesso in relazioni assai pericolose: le arti, legate come sono alle strategie di accumulo economico e di speculazione finanziaria – le medesime che stanno dietro la marginalità e la ruralità – cosa sono diventate, si domanda l’autore nelle vesti di curatore? E come stupirsi che questi territori, invece che luogo di emancipazione, siano diventati luoghi della dimenticanza? E che fare, se non viverli in maniera critica, e cercare di superare di nuovo l’impasse tornando a considerarli sede di una continua ricerca? Il suono per Pisano rappresenta una leva teorica e operativa per mettersi in relazione con quello che il discusso filosofo inglese Nick Land chiamava “human security system”, e cioè quel bagaglio di convenzioni e stratificazioni sociali che imprigionano il pensiero all’interno di una griglia “normalizzante”, tale da inibire la naturale tendenza del pensiero ad andare fuori, superare i propri limiti e in questo modo emanciparsi da un antropocentrismo che tutto vuole controllare. Vi è nel libro di Pisano un desiderio di legare il suono dei margini a un tentativo di rimettere in discussione i vincoli culturali, familiari e in ultima istanza biologici dell’essere umano, attivando pratiche dell’ascolto inclusive e attive in cui a risuonare su un piano orizzontale sono gli autori, i luoghi e le persone.

(Marco Petroni)